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Roma deve fidarsi di più dei romani

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La Capitale per rinascere ha bisogno di una ricetta che la liberi dalla iper-burocratizzazione e dall’ideologia. Come? Con la sussidiarietà.

Caro direttore, in questo mese di campagna elettorale da candidato al Consiglio Comunale di Roma nelle elezioni del 3 e 4 ottobre, ho capito da subito che sarebbe stato quasi oltraggioso voler ‘spiegare’ a chi partecipava ai miei incontri i problemi della città. Il fetore nauseabondo dei rifiuti abbandonati dentro e fuori i cassonetti è denunciato dallo squittio dei topi e dal trotterellare spavaldo dei noti branchi di cinghiali.

Mentre il traffico ti paralizza e ti sequestra rubandoti ore preziose di vita, spesso familiare e affettiva, ti chiedi come sia possibile che Roma non sia in grado di gestire con decenza nemmeno le tre misere linee metropolitane che siamo riusciti a costruire in 70 anni, con la scusa dei reperti romani da salvaguardare.

I servizi sociali, poi, sono troppo spesso servizi socialisti: di scarsa qualità, ma equamente distribuita. Piante e arbusti crescono ovunque selvaggiamente riappropriandosi degli spazi un tempo urbanizzati, per la gioia di qualche ultra-ambientalista e la disperazione di chi ha perso un parente schiantato sotto un palo nascosto dal ramo di un albero. Tutto ciò è condito da un’amministrazione che incarna la quintessenza dell’ideologia burocraticistica, che evidentemente ha la missione di controllare e certificare, con scrupolo, che tutto stia andando alla malora.

La situazione a Roma è così drammatica che vale la pena chiedersi: questa città si può veramente salvare? Io credo di sì. Come? Mettendo a sistema un principio che a Roma in molti non sanno nemmeno pronunciare bene: la sussidiarietà. Roma deve fidarsi di più dei romani. In questi ultimi dieci anni ho lavorato come consigliere del II Municipio, e ho sofferto i tre grandi problemi di Roma connessi all’assenza di sussidiarietà.

Il primo, già citato, è l’assoluta iper-burocratizzazione, aggravata nel merito dal costante sospetto dell’amministrazione che il privato cittadino sia un nemico della collettività. Ciò si traduce, in pratica, nel blocco totale dei bandi per la concessione di servizi sociali anche molto importanti. Ovvero: se il Comune non può offrire determinati servizi, è meglio che i cittadini non li ricevano da nessuno, piuttosto che da altri cittadini. Muoia Sansone con tutti i filistei.

Il secondo è l’accentramento totale nelle mani del Comune di poteri riferiti a situazioni anche fortemente territoriali.

Due esempi concreti vissuti in questi anni: il gruppo di genitori che vuole ridipingere, a proprie spese, le pareti scrostate della scuola materna dei figli e il gruppo di condomini che, sempre a proprie spese, vorrebbe curare il giardino nei pressi del condominio per farci giocare i bambini del palazzo senza perderli nella radura incolta. In entrambi i casi, la generosa proattività dei cittadini – il loro desiderio di spendersi per il bene comune – si scontra frontalmente con una miriade di assurde e del tutto inutili paratie burocratiche frapposte dall’amministrazione comunale, che si pone immediatamente in stato di emergenza. Mi immagino da qualche parte in Comune una spia rossa che si accende a intermittenza per segnalare il pericolo “iniziativa privata in corso”.

Il terzo problema è l’ossessione di voler risolvere problemi reali con soluzioni ideologiche. Come quando, a proposito delle (sacrosante e utili) piste ciclabili, mi dicono spesso che “Roma deve diventare come Amsterdam”. Fosse per me, la farei diventare anche come Venezia, ma mi chiedo se il piano preveda l’appianamento dei Sette Colli.

Questo punto tocca anche la questione educativa, di cui mi sono occupato in Municipio e che mi coinvolge come padre di due figli piccoli. Il Comune di Roma bombarda da anni gli insegnanti e gli assistenti scolastici, anche dell’asilo, con corsi di formazione improntati all’ormai celeberrima ideologia Gender. Non senza fatica sono riuscito a far approvare, addirittura all’unanimità, una delibera municipale per garantire il pieno consenso informato da parte dei genitori rispetto a qualsiasi attività “sensibile”.

È chiaro però che la testa al toro si taglia in altro modo: un buono scuola, sul modello lombardo, per consentire alle famiglie di scegliere veramente da chi far educare i propri figli, senza che ragioni economiche gli vietino di optare per le scuole parificate. Considerato che quando una famiglia romana deve iscrivere un figlio al nido è costretta (dico: costretta) a opzionare prioritariamente strutture comunali anziché convenzionate, è chiaro che la strada da fare è ancora lunga e tortuosa. Con perseveranza (e, mi permetto, con un voto oculato il 3-4 ottobre) io credo che ce la faremo.

Di Giuseppe Scicchitano

Link articolo: Roma deve fidarsi di più dei romani – Tempi

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